Serge Quadruppani

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Una lettera d’amore e di riscatto

(a proposito dell’ultimo libro di André Gorz)

samedi 26 avril 2008, par Serge Quadruppani


Verso la fine della loro vita, un uomo, intellettuale famoso, scrive alla sua compagna di sempre per dirle del suo amore intatto e del rimpianto di non aver riconosciuto pubblicamente il ruolo che lei ha avuto nella sua opera. Su un simile argomento, si potrebbe costruire uno di quegli esercizi di narcisismo letterario molto francese che sono così giustamente inesportabili. La personalità dell’autore di Lettera a D. lo tiene ben distante da questo pericolo. Benché residente in Francia e scrittore nell’idioma di quel paese, André Gorz meritava pienamente il bel titolo di autore cosmopolita. « E’ un ebreo austriaco. Completamente privo di interesse » : è in questi termini che nel 1947, un ospite molto poco delicato aveva parlato di lui a Dorine, ragazza dalla « folta capigliatura rossobruna, la pelle madreperlacea ». Più di mezzo secolo più tardi, l’ebreo austriaco dedica a questa donna il suo ultimo libro, che comincia così : « Stai per compiere ottantadue anni. Sei rimpicciolita di sei centimetri, non pesi che quarantacinque chili e sei sempre bella, elegante et desiderabile. Sono cinquantotto anni che viviamo insieme e ti amo più che mai ». Il lettore un po’ attento ai giornali lo sa, il 22 settembre 2007, la coppia si è suicidata : lei era molto malata, e come suggeriscono le ultime frasi del libro, lui non aveva intenzione di continuare a vivere senza di lei. Questa fine annunciata, a dispetto della sua tristezza, non toglie niente al carattere straordinariamente vivificante dell’opera.

E’ lo stesso Sartre che l’ha raccontato : nel 1946, a Losanna, in piena gloria letteraria, tiene una conferenza. Un giovane molto magro gli pone delle domande citando a memoria dei passaggi de L’Essere e il Nulla che l’inventore dell’esistenzialismo aveva, per sua stessa confessione, dimenticati. Questo ragazzo, di madrelingua tedesca, parla un francese eccellente che ha imparato leggendo Paul Valery in originale. E quando, poco tempo dopo, incontrerà Dorine, non se la caverà troppo male perché ha imparato l’inglese traducendo dei romanzi americani. Innamorarsi, tradurre libri : tutti i traduttori vi diranno che non c’è modo migliore per imparare le lingue. Il giovane che interpella Sartre e che diventerà uno dei suoi più stretti collaboratori, il bel ragazzo squattrinato (la sua bellezza è diventata di tipo famelico con le privazioni della guerra) che propone alla bell’inglese di andare a ballare prima di vivere il resto dei suoi giorni al suo fianco, si chiama Gérard Horst.

Nato a Vienna nel 1923 sotto questo nome, è figlio di un commerciante ebreo e di una segretaria cattolica nata in un ambiente colto. Sebbene i suoi genitori non esprimano un grande senso di identità nazionale o religiosa, viene cresciuto in un contesto antisemita che porta suo padre a convertirsi al cattolicesimo. Nel 1939, sua madre lo manda in un istituto cattolico di Losanna per evitare la sua mobilitazione nell’esercito tedesco. Con una simile partenza nella vita, nel cuore delle lacerazioni del secolo, e una cultura poliglotta, è logico che il giovane Gérard abbia cominciato a lavorare per il movimento dei Citoyens du monde. Presto diventerà giornalista con il nome di Michel Bosquet, entrerà a l’Express prima di fondare Le Nouvel Observateur con Jean Daniel. Nel frattempo, la frequentazione dell’esistenzialismo marxista gli avrà dato le basi per la sua riflessione filosofica e pubblicherà il suo primo libro (Il Traditore, con prefazione di Sartre) ancora sotto un altro nome : André Gorz.

L’uomo dalle identità multiple ha posto al cuore della sua riflessione la questione dell’autonomia dell’individuo. Entrato nel comitato di direzione di Temps Modernes, vicino a Bruno Trentin, Vittorio Foa, Garavani, egli si impone come capofila della « tendenza italiana » nella sinistra modernista francese. Diventerà amico di Marcuse. Poco dopo il 1968, lascia la rivista di Sartre, in disaccordo con il suo orientamento maoista, e soprattutto con un numero speciale su Lotta Continua. Il suo incontro con Ivan Illich farà di lui uno dei più importanti autori dell’ecologia politica. Il suo libro, Addio al proletariato, che rompe con la centralità operaia, è un best-seller. Nelle sue opere posteriori e nei numerosi articoli, aderisce all’idea del reddito garantito. In tutti questi anni in cui l’influenza del suo pensiero, discreto ma reale, non ha mai smesso di approfondirsi, c’era, nel suo lavoro, un punto cieco. Qualcosa come una lettera rubata, di cui non voleva vedere l’evidenza. Era Dorine. Raramente come nella Lettera a D., si può cogliere la possibilità di realizzare questa quasi impossibile utopia : unire complicità intellettuale e fusione amorosa. Nella coppia Sartre-Beauvoir, la complicità si è pienamente realizzata a spese della fusione. In quella di Dorine e di André, l’alleanza ha funzionato, ma a che prezzo ? Con una sincerità impietosa, Gorz appunta i sacrifici che ha imposto alla sua compagna, la collaboratrice così costante che forse si può considerarla come co-autrice delle sue opere ; racconta come gli stati d’animo dello scrittore e le sue difficoltà a scrivere occupavano senza sosta il proscenio, e le sue cattiverie non giustificate, se non da alcuni pudori ideologici. Ma l’inevitabile parte di rimpianto non nasconde l’essenziale. Emerge da queste righe un’esultanza di vivere che corre, dai primi giorni in cui la giovane coppia recita di nuovo a spese di un cameriere una scena de Il diavolo in corpo , fino agli istanti di serenità e bellezza nella casa di campagna, malgrado l’ombra della malattia di Dorine che si allunga sulle ultime pagine : « Là dove non c’era che un prato, hai creato un giardino di siepi e di arbusti. Vi ho piantato duecento alberi ».

Con molta eleganza e semplicità, la lingua di Gorz si avvale in italiano di una traduzione di grande precisione e di rara sensibilità. Dalle mansarde parigine dei loro inizi fino ai viaggi intorno al mondo dopo il 68, questa lingua che non era materna e che trasporta in sé l’immensa cultura di un cittadino del mondo, ci restituisce il ritratto di una donna il cui silenzio, fino all’ultimo giorno, ci ossessionerà. Perché il lettore – o la lettrice – di questa lettera d’amore e di riscatto non può evitare di essere colpito dal fascino della bella signorina dall’« andatura di danzatrice », « sovrana, intraducibilimente witty », che « distingueva a prima vista l’essenziale dall’accessorio ». Resterà dunque il rimpianto lancinante di non aver potuto ascoltare la sua voce « la voce acuta delle inglesi », la sua propria voce.

P.-S.

Lettera a D. Storia di un amore di André Gorz (Sellerio Editoreo, pagg. 70 ; 9 Euro, traduzione di Maruzza Loria)

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