Serge Quadruppani

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Une traduction italienne de mon texte sur Manchette

Jean-Patrick Manchette, la scrittura della radicalità

(traduzione di Maruzza Loria)

mercredi 15 juin 2005, par Serge Quadruppani

Negli ultimi anni, quandi si telefonava a Jean-Patrick Manchette, si incappava immancabilmente nella s egreteria telefonica che aveva messo tra sé e il mondo e che diceva : “ Siamo assenti, o occupati, o addormentati... ”

Dopo essere stato il segno del suo stile, il « ritiro » era diventato quello della sua vita. La malattia centrava certamente qualcosa, ma anche e soprattutto la sua appartenenza a una corrente di critica sociale, nata nella scia dell’Internazionale Situazionista, per la quale lo stile e la vita, è tutt’uno.


Per chi l’ignorasse, l’Internazionale Situazionista, l’IS per gli iniziati, è stata creata dalla fusione più o meno riuscita di una corrente rivoluzionaria marxista antileninista e antistalinista (incarnata in Francia dalla rivista Socialisme et Barbarie) e della corrente letteraria che va dal Dadaismo al lettrisme passando per il surrealismo. Verso la fine della sua vita, il suo rappresentante più noto, Guy Debord, è stato trasformato dai giornalisti e dai letterati mondani, con la collaborazione, bisogna precisarlo, del diretto interessato, in una specie di altezzoso dandy sprezzante la sua epoca e privo della minima speranza di trasformazione sociale. Ma ridurre Debord a ciò, è dimenticare che i primi paragrafi dell’opera con la quale ha marcato la sua epoca La società dello spettacolo sono una deviazione delle prime pagine di un libro rivoluzionario, Il Capitale.

E’ il situazionismo e io Debord ancora rivoluzionario degli anni 70 che occupavano un posto centrale nella testa e nel cuore di Jean-Patrick. Quando parlo di cuore non è per azzardo, perché, paradossalmente per gente che, nella s crittura, stimano soprattutto la òlitote e l’ironia sarcastica, la dimensione affettiva era essenziale nelle relazioni che legavano il primo circolo di situazionisti agli alltri, affini, contatti, proseliti e imitatori. In questo giro, l’insulto reciproco seguiva spesso da vicino il contatto e l’adesione. Per coloro che non hanno conosciuto questo ambiente, bisogna leggere la corrispondenza di Debord e i suoi seguaci, (tu as oublié de traduire : per capire quella sorta di terrore imponevano Debord et i sui seguaci) praticando per ragioni spesso futili la scomunica, a immagine dei papi delle avanguardie precedenti, André Breton e Isidore Isou. Manchette ha avuto la sua parte di insulti, e alla moglie, in ragione del suo legame coniugale, era stata perfino rifiutata una traduzione da Lebovici, editore di Debord che si sforzava di diventarne un clone.

Parlo di del cuore, ma c’è un altro organo che bisognerebbe menzionare, il fegato, messo anch’esso a dura prova dalla pratica di alcolismo così diffusa in tali ambienti. Le più profonde teorizzazioni e le più violente separazioni hanno spesso avuto luogo al banco di un bistrot parigino. La paranoia alcolica spiega in gran parte l’isterizzazione dei rapporti e i delirii nei quali il papa siituazionista si è spesso ostinato contro ogni ragione : così come le sue teorie sul terrorismo si estrema sinistra italiano, interamente manipolato, secondo lui, dai carabinieiri, o la sua ostinazione, malgrado le smentite dei suoi vicini, a identificare Manchette con Pierre Georges, un altro vicino ai situazionisti degli anni 70. Malgrado o a causa di questa atmosfera, Manchette, nonostanto fosse capace di vedere i difetti della teoria e il ridicolo del personaggio, è rimasto marcato fino alla fine della sua vita da una specie di senso di colpa repressa (contenuta ?) : nella vulgata radicale situazionista, aver scelto di scrivere dei romanzi commerciali, era in effetti, già, essere passato dalla parte del nemico.

“ Starlette della letteratura ” : così si autodefinì Manchette nella prima lettera che mi scrisse, mentre ero direttore della pubblicazione Mordicus, rivista che si ostinava a difendere delle posizioni anticapitaliste radicali al limitare degli anni 90. Sembrava che si aspettava che gli rispondessi con la tradizionale lettera d’insulti. Era lì nella continuità del testo che aveva pubblicato ne Les Nopuvelles littéraires del 30 dicembre 1976, “ Cinque osservazioni sul mio mezzo di sostentamento ”. Dopo aver distinto il romanzo a enigma, romanzo del ripristino del Diritto borghese, dal romanzo noir, per il quale l’ordine del suddetto Diritto non è buono, Manchette descriveva così la situazione della lotte di classe nel noir : non è assente “ nello stesso modo del romanzo poliziesco a enigma : semplicemente, qui, gli sfruttati sono stati battuti, sono costretti a subire il regno del Male. Questo regno è il terreno del noir... ” E nel punto 5, rileviamo : “ La fine della controrivoluzione e la ripresa dell’offensiva proletaria sono, a termine, per le professioni intellettuali, la fine di tutto. Tra le altre cose il noir prossimamente sparirà, fenomeno che presenta una notevole quantità d’importanza nulla... ” . Infine concludeva con un P.S. : “ Non ne consegue che aver passato, come si dice, il proprio tempo e la propria giovinezza a scrivere dei noir o ne Les Nouvelles littéraires (lista non limitativa) sono cose che saranno automaticamente perdonate ”.

Nel 1990, la controrivoluzione non era finita, l’offensiva proletaria si faceva senpre aspettare e il noir, con nostro grande piacere, era lontano dall’essere scomparso. Ma in Manchette restava l’atteggiamento autodenigratorio, tra humor e masochismo, definito dal suo Post Scriptum. Tuttavia lo schematismo, l’arroganza, la cecità volontaria, tutti gli aspetti penosi del situazionismo non devono farci dimenticare che questa corrente ha rappresentato, intorno al 1968, una delle più alte punte del pensiero radicale, espressione particolarmente riuscita di ciò che c’era di più nuovo all’epoca, molto lontano dalle pagliacciate maoiste e dalle banalità trozkiste (dalla carattero un pò scontato di queste formule polemiche, si indovinerà come anch’io abbia subito la sua influenza).. Mettendo il dito con Debord sulla potenza dello Spettacolo nelle società moderne e esigendo, con Vaneigem, che la rivoluzione non sia un ideale separato dalla vita quotidiana, i situazionisti hanno dato una lingua alla rivolta, per il Xxesimo sec olo che si concludeva e per quello che seguirà. Ornata dai prestigi del francese del Gran Secolo con i suoi periodi, le sue espressioni volentieri desuete, e il suo rispetto maniacale della grammatica (compresi talvolta dei congiuntivi nelle loro forme più divertenti), questa lingua superba sembrava a volte uscita dritta dritta dalle memorie del Cardinal de Retz (memorialista abbondantemente citato dai situazionisti) : paradosso d’una critica della modernità capitalista che cerca di exprimersi nell’idioma degli aristocratici dell’ancien régime. A questo si aggiunge l’influenza dello stile hegeliano del giovane Marx con i suoi rovesciamenti del genitivo (Filosofia della miseria e miseria della filosofia), il gusto del « détournement » (uso di un pezzo di un testo per una fine altra che quella disegnata dall’autore) non segnalata e un vero senso della formula. Insomma, una lingua tagliente, che ebbe tanto più prestigio in quanto si entrava in un’epoca in cui la lingua diventava uno strumento incerto, marcato dalla concorrenza sleale che il vernacolo televisivo faceva al francese d’oltretomba insegnato a scuola. La seduzione e l’intimidazione esercitata dal situazionismo si spiega anche con lo stile letterario che evocava tempi in cui le parole non era passate al frullatore delle mode mercantili.

E’ questa lingua che Manchette ha ri preso per conto suo e lavorato alla sua maniera. Ma tutto quello che, nel confinamento del bistrot situazionista, prendeva degli accenti d’asprezza, diventa gioiello di verità, gioiosa perfidia e allegra provocazione nei racconti di Jean-Patrick. Così come la famosa nota che, come en passant, inaugura e chiude il Petit bleu de la cote ouest : se, ci dice l’autore, il suo personaggio di quadro dirigente che va a uccidere e rischia di restare ucciso prima di ritornare alla normalità opprimente, se questo personaggio si trova là, in procinto di girare in tondo sui viali della cironvallazione parigina, è “ in virtù della sua posizione nei rapporti di produzione ”.

In teoria, Manchette difendeva una concezione austera della scrittura. In un mondo, spiegava, dove trionfa lo spettacolo e la manipolazione, astenersi d’entrare nell’interiorità dei personaggi era ancora la pratica meno manipolatrice. “ L’epoca di barbarie in cui siamo entrati si presta meno che mai alle effusioni romantiche ” (J.-P.M, Chroniques, Rivage, p.314 e in italiano ?). In questo mondo, secondo lui, non c’era più spazio per l’effusione lirica. Il modello rivendicato era Dashiell Hammet. Ma, rileggendo Red Harvest, si constata quanto il comportamentalismo possa spesso essere efficace (la celebre prima scena dovè la semplice descrizione della tenuta di uno sbirro annuncia il marciume che incancrenisce la città) e talvolta ridicolo : invece di dire che un uomo è semplicemnete arrabbiato, Hammet descrive una serie di espressioni facciali che potrebbe altrettanto bene manifestare una crisi d’epilessia.

Manchette era preservato da questo sbandamento da una qualità che mancava decisamente al suo modello : un finissimo senso dell’autoderisione. Altrove, nel Petit bleu : “ l’ho ucciso ieri, disse improvvisamente Gerfaut. Gli ho fracassato il suo cazzo di cranio, gli ho rotto la testa. E Gerfaut stupefatto si sciolse in lacrime. Piego le braccia sulla tavola di formica, poggiò la fronte sugli avanbracci e singhiozzò nervosamente. Le lacrime si arrestarono subito ma egli restò parecchi minuti a fremere e a inspirare e espirare dell’aria con un rumore da strumento di musica brasiliana ”. A chi vorrebbe far credere che questi divertenti strumenti di musica brasiliana siano del semplice comportamentalismo ?

Nessuno meglio (è letteralemnte vero : nessun autore di noir contemporaneo può misurarsi a lui sul terreno del dialogo - su nessun altro terreno d’altronde), nessuno meglio dello sceneggiatore che fu Manchette sapeva rendere la logica delle emozioni attraverso le incoerenze della parola. La sua attenzione maniacale agli oggetti, in particolare la precisione della sua descrizione delle armi (è dai suoi suggerimento da una chronique su Charlie Hebdo che mi sono procurato, per i miei romanzi, le opere dello specialista Dominique Venner, per altro d’estrema destra, ovviamente ), l’esattezza sociologica delle abitudini, tutto ciò tradisce uno sguardo vicino al Perec di Choses, libro salutato ai suoi tempi dai situazioniisti. Nella Position..., ancora : “ Dietro le vetrine oscure, c’erano centianai di abiti vuori, migliaia di scarpe vuote, migliaia di etichette quadrate di cartone dove figuravano dei prezzi in lire sterline e talvolta in ghinee ”. Questa descrizione, a l’angolo di un paragrafo, svelando come se niente fosse l’assurdità di un mondo di merce, provoca il riso e poi il riso resta fissato quando passa l’immagine di altre accumulazioni di scarpe vuote, verso la fine della seconda guerra mondiale... L’arte di Manchette trasbordava da ogni parte del quadro formale dove lui stesso pretendeva di rinchiuderla.

Quando, dopo esserci scritti e telefonati per degli anni, l’ho incontrato per la prima volta in carne e ossa (già, non ce n’era rimasta molta di carne), non fu per caso che questo primo incontro si svolse in mezzo ai tafferugli che animavano il XVIII arrondissmente parigino dopo l’uccisione di un giovane nero dentro un commissariato. In questa occasione, anche in virtù della sua condizione fisica evidentemente fragile, e anche del suo aspetto elegante, poté avvicinarsi ai poliziotti delle BAC BrigateAnti Criminalità allora alle loro prime apparizioni nelle manifestazioni (in seguito, la loro presenza e la loro tattica di prelievo, nella folla dei manifestanti “ individuati” si sarebbero banalizzate). Le foto di questi nervis astiosi furono in seguito pubblicate qua e là (specialmente su Mordicus).

Durante una di queste perquisizioni con le quali la Madama esprimeva un interesse spropositato per le nostre modeste attività, alcuni compagni ebbero il piacere di ascoltare li sbirri lamentarsi contro il tipo che aveva preso queste foto. Evidentemente, malgrado le loro pressanti domande, la sua identità era rimasta sconosciuta. Adesso, posso tranquillamente rivelargliela : il fotografo, era quel tipo alto magrissimo che brandiva il suo bochino nell’aria satura di lacrimogeni e depositava senza nascondersi delle banane ai piedi dei CRS. Questo pericoloso agitatore, era Manchette, un autore di noir francese dei giorni nostri. In sintonia con la sua critica più radicale, molto lontano dai commercianti di buoni sentimenti e dai micro-Beria che popolano il “ polar ” francese di oggi. Un autore che resta, di gran lunga, e non per caso, il migliore.

Non ignoro con quale ironia leggerebbe questa specie di elogio funebre. E l’immagino, il mio caro complice, nella pelle di Griffu, questo personaggio del fumetto che scrisse per Tardi, questo personaggio che, alla fine, quando è morto, ci dice : “ Qui, dove sono, rido ”. Là dove è ancora oggi, cioè imboscato dietro le sue frasi, Manchette ride. Ride à la faccia del mondo intero, et lo prende in beffe. E noi, con il suo aiuto, continueremo a prenderci beffe del mondo, prima di trasformarlo.


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